La mattina del quarto giorno la trovai sulla soglia, appena mi svegliai.
Si era decisa a farsi viva.
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Non bussò. Era già dentro.
– Ti stai uccidendo – disse lei, avvolta in un cappotto troppo leggero – e mi stai trascinando giù con te.-
Io la guardai. Stringevo un coltello da cucina, le dita rigidamente intorno al manico. Il silenzio era più pesante della neve fuori.
– Se mi tocchi ancora, giuro che ti faccio male.-
Lei non si mosse. Ma vidi qualcosa incrinarsi in lei. Forse paura. Forse amore.
– Allora fallo – sussurrò – uccidimi. Oppure… lasciami entrare una sola ultima volta. E poi me ne andrò.-
Le mie mani tremavano. Il corpo mi faceva male. Ma non tanto quanto restare nudo dentro questo vuoto.
Poche falde di luce dell'alba entravano dalla finestra. Si avvicinò. Lentamente. I passi silenziosi sul pavimento freddo.
E quando le sue labbra toccarono le mie…
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…la respinsi. Brutalmente. Con forza.
La spinsi via come se volessi vomitarla via dalla mia carne.
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Elita indietreggiò cadde a terra, fuori sulla neve. Piangeva. Lacrime che non ghiacciavano.
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– Ti amo, Alex. Anche se ti ho ferito..-
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Non la guardai.
Chiusi la porta. Dall’interno.
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Il legno contro la mia fronte era freddo. Tremavo.
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Ma ero vivo.
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