La neve continuava a cadere, silenziosa e implacabile, seppellendo Marquette sotto un sudario sempre più spesso.
I giorni si spegnevano in un cielo piombo, le notti cadevano improvvise.
I giorni si accorciavano, schiacciati tra un'alba grigia e un tramonto precoce, mentre le notti si allungavano, nere e voraci, inghiottendo quel poco di calore che ancora resisteva nella città.
Io ed Elita vivevamo in una bolla sospesa nel tempo.
La casa era diventata il nostro rifugio, il nostro universo, con le pareti che sembravano assorbire ogni rumore esterno, ogni pensiero del mondo al di là di quella porta.
La osservavo. Sempre. Con un desiderio che cresceva giorno dopo giorno, diventando più acuto, più difficile da ignorare.
La guardavo mentre beveva il tè, le labbra che sfioravano il bordo della tazza. Mentre si avvolgeva nella coperta di lana, i capelli scuri che le ricadevano sulle spalle come un manto. Mentre dormiva, il respiro così leggero da sembrare inesistente.
Era fragile, Elita. Sembrava fatta di ghiaccio, di qualcosa che poteva spezzarsi. Eppure, sotto quella fragilità, di insondabile, che mi attirava.
Una sera, stavamo seduti sul divano, le luci spente, il riverbero della televisione che proiettava ombre mute sulle pareti.
Un film degli anni '90 parlava a bassa voce, dialoghi consunti che nessuno dei due ascoltava davvero.
Sentivo il calore del corpo di Elita accanto al mio, quel lieve profumo di ferro e vaniglia che ormai avevo associato solo a lei. Poi, all'improvviso, lei si voltò.
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Le sue mani, tiepide e leggere, mi presero il volto, costringendomi a guardarla. I suoi occhi brillavano, due pozzi di ghiaccio che sembravano riflettere una luce propria.
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-Posso mostrarti chi sono? - sussurrò, la voce un fruscio di seta sulla pelle.
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Non risposi. Non potevo. Mi limitai ad annuire, la gola improvvisamente secca.
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Elita sorrise, un gesto lento, deliberato, poi si mise sulle mie ginocchia, movimenti fluidi come se stesse danzando. Si sistemò a cavalcioni, il peso del suo corpo appena percettibile, la bocca a un soffio dalla mia.
– Ho fatto un sogno, Alex. – disse.
– Com’era?
– C’era neve. Ma non era fredda. Mi scivolava addosso come seta. E poi c’eri tu. Ma non mi guardavi. Guardavi oltre. Come se io non bastassi.-
– Non è vero. – risposi subito, troppo in fretta.
Lei chinò la testa.
– A volte lo sento. Dentro. Quel vuoto.-
– Tutti ce l’abbiamo.-
– Il mio… – si fermò – …il mio è nato prima di me.
Non seppi cosa rispondere.
-Non so quanto potrai sopportarmi dopo... - mormorò, le parole calde contro le mie labbra. - Ma io ti voglio. Adesso.-
Il bacio fu vita.
Un bacio che iniziò come un assaggio.
Le labbra di Elita si aprirono tra le mie con un sospiro, e quando la sua lingua mi sfiorò il labbro inferiore, sentii un brivido percorrere tutto il mio corpo.
La invitai dentro con un movimento del capo, e la mia lingua esplorò il caldo umido della sua bocca con crescente insistenza.
Niente timidezza, niente esitazione.
Le labbra di Elita erano tiepide e morbide all'inizio, ma si riscaldarono quasi immediatamente.
Le sue mani mi scivolarono sotto la maglia, le dita sottili che esploravano la pelle del petto, i muscoli tesi, il battito accelerato.
Risposi allo stesso modo con le dita sotto il maglione, che si perdevano nella schiena nuda, liscia come marmo.
La baciai sul collo, sulle spalle, assaporando il sapore salato della sua pelle, il modo in cui lei si inarcava, i seni che premevano contro il mio petto attraverso il tessuto.
Il maglione di lei volò via, seguito dalla sua camicia, rimanemmo solo pelle contro pelle,
Solo sensazioni: il calore, il freddo, il dolore e il piacere che si mescolavano in un unico vortice.
Quando la coperta scivolò a terra, quando i nostri corpi si intrecciarono sul divano e poi sul tappeto, i capelli sciolti che mi facevano una cortina intorno al viso mentre mi baciava vicino alla stufa che crepitava debolmente, prima di invertire nuovamente posizione, non ci fu più spazio per i pensieri.
Elita era tiepida fuori, ma dentro era un inferno. Viva, pulsante, umana in un modo che non riuscivo a spiegare.
Le sue unghie mi graffiarono la schiena, lasciando segni rossi che bruciavano.
Le sue labbra mi cercarono l'orecchio, i denti che lo mordicchiavano con un misto di desiderio e disperazione.
-Tu... mi senti? - sussurrò, il respiro affannoso.
-Sì... - ansimai, le mani che le stringevano i fianchi, cercando di avvicinarla ancora di più, di fondermi a lei.
-Allora tienimi... anche se fa male.-
E quando finalmente si lasciò andare, quando venne il momento, lei si irrigidì con un grido strozzato, le pareti interne che pulsavano attorno a me in modo irresistibile.
La tenni stretta mentre anche io raggiungevo il culmine, seppellendo il viso nel suo collo mentre il mondo esplodeva in mille pezzi.
Per lunghi istanti rimanemmo così, uniti, ansimanti, la pelle sudata che si raffreddava nell'aria della stanza.
Poi mi lasciai andare accanto a lei, il respiro ancora affannoso, le labbra che le sfioravano il collo in un bacio stanco.
Le passai una mano tra i capelli, guardando il soffitto con una strana consapevolezza che niente sarebbe più stato come prima.
Non dopo questo. Non dopo averla sentita così completamente, così profondamente.
E quando Elita sollevò lo sguardo su di me quegli occhi glaciali che sembravano vedere dritto nella mia anima, capii una cosa con assoluta certezza.
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Elita non aveva paura di me.
Aveva paura di sé stessa.
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