La linea di costa si era di molto ampliata rispetto a come la ricordavo.

In effetti la quantità di lava che era avanzata verso l'oceano era stata in una tale quantità che una volta che incontrava l'acqua gelida raffreddandosi in superficie, veniva sovrapposta dalla parte del flusso rimasto indietro, che a sua volta si raffreddava strato su strato.

Molto probabilmente questo processo era andato avanti per diverso tempo da quando la linea di frattura eruttiva aveva raggiunto la massima intensità dell'eruzione.

Io e Iya stavamo camminando proprio su questo nuovo campo lavico che formava la nuova linea di costa dalle forme irregolari.

-Non pensavo che il paesaggio fosse cambiato fino a questo punto.- osservò lei guardandosi attorno.

-Onestamente nemmeno io, deve essere stata una vera e propria inondazione di lava.- dissi.

-Che sia ancora calda lì sotto?-

-Probabilmente, ma non in modo uniforme, qui sembra essersi solidificata in modo completo.- osservai

Osservai il mare freddo con le onde che si infrangevano contro la nuova costa lavica, cercai quindi la linea di costa originale, ma dovevo ammettere a me stesso che il paesaggio stesso era diventato irriconoscibile, completamente asfaltato per metri di spessore da un nuovo manto di roccia nera dalle forme irregolari, a blocchi scuri e dai bordi taglienti come cocci di vetro.

Non riconoscevo più nulla di questo posto che un tempo ci apparteneva.

Mi chinai e appoggiai una mano sulla roccia lavica, era tiepida, l'intero campo lavico che si era formato durante l'eruzione di Esjufjoll a distanza di due anni e sottoposto alle rigide intemperie dell'ambiente si stava ancora raffreddando, constatai.

Il sole nel frattempo il sole si stava avviando verso il tramonto.

Decisi che per oggi avevamo visto più che abbastanza, avevamo raggiunto l'Islanda raggiungendo il posto in cui dovevamo arrivare, e avevamo fatto un sopralluogo per constatare cosa ci aspettava i prossimi giorni.

-Per oggi abbiamo visto abbastanza,- decisi - questa notte la passeremo nel Grad, domani vedremo.-

-Sono d'accordo.- disse Iya guardandosi intorno su quel mantello di basalto che ricopriva ogni cosa, -l'importante per oggi è essere arrivati a destinazione.-

Tornammo indietro sui nostri passi evitando accuratamente i bordi acuminati di alcune rocce laviche.

In quel momento soffiava un forte vento freddo, come se le anime dannate di chi viveva ci stessero invitando ad andarcene da questo posto che non ci apparteneva più.

Eravamo ormai in prossimità della linea di costa che ci separava dal mare, vicino al punto in cui avevamo lasciato il Grad, quando lo sentimmo entrambi.

Un suono lontano e allo stesso tempo profondo, come se venisse dalle profondità dell'inferno.

Ci guardammo perplessi incapaci di capirne l'origine quando l'intuizione ci fece voltare all'unisono e guardare in lontananza verso la sommità collassata del vulcano.

Esjufjoll sapeva che eravamo arrivati.

Il sistema di riscaldamento del Grad funzionava bene, tanto da tenerci al caldo per tutta la notte quasi fosse una confortevole stanza da letto.

Avevamo appena finito di mangiare ed era quasi ora di mettersi a dormire, domani sarebbe stata una giornata molto lunga.

- Mi sembra quasi strano che il posto che abbiamo visto sia ciò che resta di casa nostra.- fece Iya.

-Non siamo nemmeno arrivati a Jokullsarlon, ma sinceramente non mi aspettavo nemmeno io un simile cambiamento del paesaggio.- dissi.

-Quale è il piano di domani?-

-La prima tappa sarà raggiungere dove si trovava la città, si tratta di qualche ora di camminata, poi pianteremo la tenda e ci accamperemo,- spiegai -non ha senso fare le stesse ore di camminata per andare e poi tornare.-

-Vero.-

- Il giorno successivo sarà quello più impegnativo, andremo lassù.- dissi.

-Non è pericoloso?-

-Credo che dopo due anni il peggio sia ormai passato.- dissi.

-Sì, lo credo anche io, anche se l'idea di salirci un po mi inquieta.-

- Chiunque sarebbe irrequieto dopo tutto quello che è successo.- conclusi.

Il mattino successivo il cielo era grigio come le rocce basaltiche su cui stavamo nuovamente mettendo piede dopo aver lasciato il Grad con i nostri zaini sulle spalle.

Soffiava un leggero vento freddo.

Ciò che per me e Iya era innaturale era il fatto che questo paesaggio sui cui stavamo nuovamente camminando un tempo molto recente era ciò che di più famigliare avessimo conosciuto in tutta la nostra vita, ora era una landa di lava basaltica dalle forme irregolari e dai colori che andavano dal nero al grigio fino ad assumere sfumature rossastre, probabilmente il ferro contenuto nella lava si ossidava a contatto con l'aria.

E, cosa ancora più impressionante, camminando facendo attenzione a creste irregolari e a eventuali crepe, nonostante il vento freddo la roccia sotto di noi trasudava calore, l'aria era pressoché mite.

Immaginavo che negli ultimi due anni le nevicate e le piogge avessero contribuito a raffreddare tutto ciò, invece il calore continuava a sprigionarsi come se l'inferno stesse ancora covando poco al di sotto della superficie.

Una leggera strana nebbia si alzava nei momenti senza vento.

Non fitta, non bianca: era una polvere sospesa, grigia, gialla, odorosa di zolfo e metallo fuso.

Si appoggiava ai vestiti, si infilava sotto il cappuccio, si impastava tra i denti.

-E' impressionante quanto calore continui a trasudare da la sotto, anche dopo due anni.- osservò Iya dando voce ai miei pensieri.

-Per quanto ne so, ci vogliono decenni ad un campo lavico per raffreddarsi completamente.- dissi.

Scavalcammo una grande crepa nel campo lavico, mentre lo facevo sentii il calore che si sprigionava dalle profondità.

I bordi della crepa erano color giallo chiaro, zolfo.

Continuammo a camminare, il mare ormai non si vedeva più tuttavia l'orientamento era l'ultima delle mie preoccupazioni, anche se il paesaggio era drasticamente cambiato il profilo delle montagne era sempre lo stesso circa.

Il campo di lava si estendeva davanti a noi come un mare di fuoco solidificato, le onde di roccia fusa congelate nel tempo. La superficie era scura e liscia, con sfumature di blu e grigio e talvolta la lava aveva assunto delle forme davvero bizzarre.

Le forme erano strane e organiche, come se la lava avesse preso vita e si fosse congelata in pose strana.

In alcuni punti, la superficie era butterata da piccole cavità, come se bolle di gas fossero state intrappolate nella roccia mentre si solidificava. Altrove, la lava aveva formato strane strutture colate, come se stesse cercando di raggiungere qualcosa che era appena fuori portata.

Ci imbattemmo in una sorta di lamiera arrugginita che spuntava dalla lava solidificata, in parte era letteralmente sciolta e deformata dal calore, in parte consumata dal passare del tempo.

Probabilmente si trattava di ciò che restava di un cartello stradale.

Avanzando i contorni del paesaggio iniziarono a farsi più famigliari, soprattutto la forma delle colline lontane viste da una certa prospettiva davano alla nostra memoria la posizione in cui ci trovavamo.

Scavalcai un'altra crepa nel manto lavico, e nel farlo guardai giù, era tutto scuro ma dal calore che ne fuoriusciva compresi che se avessi gettato giù un pezzo di carta quello avrebbe preso fuoco in pochi istanti.

Appoggiai una mano sul basalto, era caldo, molto più caldo di quello vicino alla costa, sarebbe stato interessante quando saremmo arrivati alla zona di frattura da cui si era sprigionata questa inondazione di roccia fusa, l'area in cui l'eruzione era cominciata, l'ultima notte in cui io ed Helena avevamo passato assieme.

-Credo che siamo quasi arrivati a Jökulsárlón .- dissi.

-Lo so, anche se il paesaggio è cambiato i profili qui intorno restano gli stessi.- rispose Iya.

Poco più tardi giungemmo in quella che doveva essere la periferia di Jökulsárlón, quello che era rimasto degli edifici era ben poco.

Molti erano simili a mucchi di pezzi di acciaio e mura fusi o crollati, in parte sommersi dalla lava, le strade erano sepolte sotto metri di lava.

Il campo lavico non era uniforme.

Si alzava e si abbassava, formando onde e spirali, come una marea rimasta congelata.

Qua e là, enormi crepe, alcune profonde metri, sbuffavano ancora zolfo. Le pareti interne erano giallo ocra, verde acido, lucide e vischiose.

Il calore che continuava a fuoriuscire dal suolo si sentiva nell'aria, in diversi punti si poteva persino vedere che dalla lava continuava a fuoriuscire vapore o fumo dalle crepe prodotte in superficie dalla contrazione della roccia quando si raffreddava che si spaccava e lasciava lentamente fuoriuscire il calore dalle profondità.

C'erano anche molte aree chiazzate di giallo nei punti in cui lo zolfo trasudava sottoforma di gas e si condensava raffreddandosi lungo i bordi di tali fratture.

Era uno spettacolo inquietante.

Quella marea di basalto che aveva iniziato a eruttare quella fredda notte di due anni fa aveva letteralmente cancellato il paesaggio, strato su strato di lava.

-Non è rimasto quasi niente.- sussurrò Iya.

-Niente.- ripetei monotono.

Probabilmente è così che ci si sente quando dopo due anni rivedi l'intera cittadina in cui sei cresciuto cancellata dall'esistenza.

Un rumore profondo tuonò in lontananza, avevamo camminato per più di qualche ora e non si era sentito nulla, poteva essere solo una coincidenza ma lassù sicuramente qualcosa era ancora vivo.

Scavalcai una crepa nel basalto, ignorando il calore che ne fuoriusciva, e cercai di riconoscere ciò che restava degli edifici.

Le colate laviche avevano invaso la città e poi si erano solidificate in pieghe, gobbe e creste che ricordavano ossa fuse.

Qua e là spuntavano resti metallici inceneriti: un semaforo piegato in due, lo scheletro arrugginito di un’autobotte, una bicicletta saldata alla crosta lavica.

La cittadina era in buona parte una rovina avvolta da uno uno spesso sudario di basalto fuso congelato nel tempo di due anni prima.

Le fratture che io e Iya scavalcammo continuavano a emettere un calore intenso che si avvertiva distintamente nonostante il vento freddo.

Gli edifici che un tempo erano negozi e abitazioni ora giacevano anneriti dal calore, coperti fino ad un certo spessore dalla lava, e del tutto privi di finestre, del tutto simili a orbite vuote di teschi alieni destinati a guardare l'eternità del tempo.

Ogni tanto, contro ciò che restava delle mura di questi edifici si vedeva sbucare dallo strato nero di lava il decapottabile arrugginito di qualche auto, probabilmente spinta lì dal movimento della lava due anni prima.

-Speravo che in futuro sarebbe stato possibile ricostruirla,- osservò Iya guardandosi intorno - ma da quel che vedo è impossibile. -

-Nemmeno nel futuro più lontano. - dissi.

Raggiungemmo la piazza o per lo meno ciò che ne restava, lo scenario sembrava semplicemente essere stato partorito da un incubo, come per le strade precedenti, i pali della luce erano piegati di lato contro le mura degli edifici, o parte di essi spuntava arrugginita dal manto di basalto nero.

Camminare in questo paesaggio era come come mettere i piedi sul torace di un dio morto.

Le strutture delle case erano simili alle precedenti, spesso con i tetti collassati dove durante i giorni dell'eruzione la lava aveva incendiato l'interno degli edifici.

Qua e là dalla lava si vedevano spuntare oggetti facilmente riconoscibili come cartelli stradali divelti ormai irriconoscibili e parzialmente fusi oppure persino ciò che restava di una bicicletta il cui manubrio spezzato arrugginito spuntava dal manto lavico come un osso spezzato.

E tra le fratture e le colate c’erano anche corpi.

Corpi. O quel che ne restava.

Il primo lo vedemmo accanto a una sporgenza di roccia vetrosa.

Una mano, sola, pietrificata, le dita tese verso l’alto come a cercare aria.

Il braccio era fuso nella lava. La pelle non c’era più. Solo osso annerito.

Iya si bloccò.

Si avvicinò.

Vedemmo l’impronta di un torace deformato nella pietra, il teschio fuso col vetro lavico, gli occhi svuotati, una mascella intera, i denti ancora stretti. 

Come se il grido fosse rimasto impresso nella roccia.

Più avanti, trovammo tre scheletri semi-sommersi in una colata.

Uno piccolo, un bambino, rannicchiato tra due corpi adulti.

Le ossa erano scolorite, porose, parzialmente inglobate, ma ancora distinguibili.

Una tibia sporgeva come una domanda spezzata.

Iya si fermò di colpo.

Aveva visto qualcosa affiorare sotto una cresta lavica: un cranio incompleto, spaccato sul lato destro, i denti ancora perfetti, lucidi come vetro.

Il suo volto si irrigidì, come se una mano invisibile le stesse afferrando la gola.

Non parlò. Le gambe le rimasero inchiodate. Il fiato rallentò. Poi, piano, si inginocchiò.

-Erano... davvero qui.- mormorò. -Non solo pensati. Non solo sognati. Qui.-

Tese la mano verso l’osso, senza toccarlo. Le dita tremavano.

Si alzò. Le mani strette. Le mascelle serrate.

Si chinò su un altro corpo.

Un’ombra carbonizzata, forse madre e figlio, rannicchiati in una piega della roccia, e raccolse una pietra piatta, scura, striata di rosso.

La posò lì. Silenziosa. Come una tomba.

-Questo è il mio modo di dire che li ho visti.-

E non disse altro.

Ne trovammo altri.

Alcuni erano così integrati nella pietra che sembravano statue grottesche, scolpite dal fuoco.

Altri erano solo ombre lasciate sulla parete, bruciature a forma di vita, come fotografie negative incise nel vetro.

-Vado a casa mia.- disse Iya.

Scavalcammo un'altra crepa nella lava dalla quale il calore continuava a fuoriuscire e ci dirigemmo poco più avanti dove prima si trovava la casa di Iya, Hannah ed Helena.

Ciò che trovammo furono solo le mura parzialmente crollate, di tutto il resto non esisteva nulla, se non lo scheletro annerito dagli incendi dell'abitazione.

Iya dal canto suo rimase paralizzata da quella visione, dopotutto chi non lo sarebbe stato nel scoprire la propria casa, i propri ricordi e soprattutto il luogo in cui si aveva trascorso la maggior parte della propria vita, raso al suolo.

Vidi una lacrima scendere dal suo viso paralizzato.

Mi avvicinai a lei e la strinsi a me.

Lei mi abbracciò e non disse nulla.

Pianse silenziosa, abbracciata a me.

-Speravo che qualcosa fosse rimasto.- sussurrò.

-Lo so.-

Le baciai piano la fronte.

Lentamente, si staccò da me.

-Cosa facciamo adesso?- mi chiese.

Sospirai e guardai quel cimitero lavico di rovine avvolte dai flussi di basalto solidificato.

Molti ricordi mi legavano con Helena a questo posto, ma non dissi nulla.

Non aveva senso parlare, questo posto ci avrebbe ricordato per sempre qualche cosa della nostra esistenza, un episodio con la nostra famiglia, un momento particolare della nostra infanzia con la nostra ragazza, però purtroppo bisognava andare avanti, nel bene e nel male.

Ma non ancora, non avevo fatto tutta questa strada per così poco.

-Voglio andare a casa mia.- dissi.